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L'alto dirigente di una multinazionale finisce catapultato in un paese dall'apparenza sudamericana per convincere i poteri forti locali ad approvare un progetto industriale caro ai vertici della società. Ogni particolare del suo viaggio riunioni, cocktail, compagnia notturna e persino un finto incidente stradale è predisposto da minuziosi promemoria aziendali, scritti con un registro che mescola magistralmente il nonsense burocratico e la satira più raffinata. In un'atmosfera d'incessante falsità, punteggiata da intrighi, baciamano e visite ai cantieri, l'ineffabile protagonista, teleguidato dagli ordini di servizio, si muove tra politici corrotti, faccendieri in disarmo, querule contesse e detestabili esemplari della razza padrona. Un gran bel viaggio è la metafora grottesca del cinismo di certe imprese, per le quali la competizione sui mercati giustifica una guerra spietata. In filigrana vi si leggono le peculiarità di un'epoca che, come ha scritto Eugenio Montale a proposito di questo libro, è quella "delle quasi illimitate libertà" ma anche "delle peggiori schiavitù e del più pesante spirito gregario".